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Le carte dei vini

Le carte dei vini



Meno etichette e più attenzione al territorio
Enciclopediche, ridondanti, eccessive: le carte dei vini dei ristoranti italiani hanno decisamente bisogno di una dieta dimagrante. E’ questo il nuovo corso intrapreso dai ristoratoridel Belpaese, alle prese con il rialzo dei prezzi e una contrazione dei consumi. Le ultime tendenze del bere fuori casa saranno di scena nel Salone del Vino di Torino (26-29 ottobre), dove un’intera giornata sarà dedicata ai gestori di ristoranti, wine bar ed enoteche.

Cambiano infatti le abitudini alimentari, ma soprattutto cambia la disponibilità dei clienti a pagare oltre una certa cifra per una buona bottiglia. I ristoratori si adeguano e si professionalizzano: anche dove non c’è il sommelier si cerca di guidare la scelta del cliente in rapporto alla sua propensione alla spesa e all’opzione esercitata sui cibi. Ma i patron delle tavole italiane si trasformano anche in “scout” delle piccole realtà produttive, andando alla ricerca del miglior rapporto qualità/prezzo.
Le carte dei vini diventano così più selettive (meno etichette significa meno magazzino e dunque minori immobilizzazioni finanziare, più improntate ai vitigni autoctoni per sfruttare l’effetto sorpresa verso il cliente e incrementare la sua soddisfazione, più rivolte alle cantine di prossimità per avere un rapporto più stretto con il produttore.

Accanto a questa nuova tendenza se ne affacciano altre, che vanno dalla richiesta sempre più forte dei piccoli formati (non è un mistero che anche grandissimi vini vengano ora proposti per la ristorazione nella mezza-bordolese) e di vini al bicchiere, alla possibilità per il cliente di portarsi a casa il “vino avanzato”, fino all’estrema consuetudine di alcuni ristoranti che custodiscono le bottiglie dei clienti o che consentono al cliente - è una moda importata dagli Usa che in Italia però ha scarsi adepti - di portare in tavola il proprio vino. E ancora una volta si assiste - un po’ come avviene per i consumi domestici - a una biforcazione del mercato: da una parte sta l’alta ristorazione, che non rinuncia al vino come elemento trainante della propria attività, dall’altra sta la media e medio-bassa ristorazione che, sia pure con differenti atteggiamenti, guarda al vino come ad un complemento del servizio.

Ad incidere sul diverso atteggiamento dei ristoranti verso il vino non sono però solo ragioni economiche, anche se la contrazione dei consumi e l’abbassamento dello scontrino medio sono elementi decisivi. Vi sono anche gli stili di cucina che richiedono un cambiamento di rotta.
Nella ristorazione italiana si assiste ad un ritorno alla cucina di territorio e quindi vi è una ricerca di compatibilità territoriale tra il menù e la cantina; per converso, chi ha sposato la filosofia della cucina molecolare o quella della cucina etnica, fusion o ipercreativa, ha più difficoltà a gestire gli abbinamenti e può puntare solo su alcune tipologie di vino per esaltare il proprio menù. E’ ad esempio questo uno dei motivi dell’esplosione di domanda di bollicine - ma si segnala anche un buon ritorno dei rosati - che sono più duttili nell’abbinamento e sovrastano meno la sensorialità del cibo.

E’ quindi in atto una piccola rivoluzione nel rapporto tra vino e ristorazione: più competenza, meno abbondanza, maggiore riconoscibilità e qualità e migliore convenienza. Sono questi i quattro punti cardine della gestione della cantina da parte della ristorazione media. Resta tuttavia un dato confortante per i produttori italiani che non possono prescindere da un rapporto positivo con i ristoranti (ma anche con enoteche e wine bar che assicurano tutti insieme oltre il 35% del mercato nazionale): il vino che si serve a tavola è nell’89% dei casi “made in Italy”. E del resto il successo dell’esportazione delle nostre cantine si deve in larghissima misura proprio ai ristoranti italiani all’estero. Sono loro che fanno da ambasciatori al nostro vino, sono loro - ad esempio in Paesi emergenti come India ed Estremo Oriente, ma anche in Russia e nelle Repubbliche Baltiche - che diffondono i sapori e la cultura del nostro stile a tavola e rendono “obbligata” la scelta di una bottiglia “made in Italy”, educando il palato dei nuovi clienti delle cantine italiane.

Capire, dunque, i bisogni dei ristoratori e rinsaldare il rapporto con i gestori delle tavole è fondamentale per i produttori italiani. Se ne avrà una conferma nel Salone del Vino, l’occasione irrinunciabile per comprendere queste nuove tendenze, dove il 29 ottobre è la giornata dedicata agli operatori della ristorazione (comprese enoteche e wine bar).

Visto dalla parte dei ristoranti il fenomeno si riassume in poche ma decisive cifre.

Intanto i ristoratori avvertono che il cliente non beve, ma degusta, e oltre il 37% dei ristoratori dichiara che nell’ultimo anno nel proprio locale il consumo di vino è diminuito. Il 30% dichiara stabilità e solo il 32% ha visto crescere la domanda di bottiglie.
Tra le tipologie è vincente il vino rosso, soprattutto Doc e da vitigno autoctono: il 60% dei ristoratori dichiara che questo vino è il più venduto. In contrazione i bianchi (metà dei ristoratori ha denunciato una diminuzione di opzioni per questa tipologia), in crescita le bollicine per almeno il 35,5% dei ristoranti. Leggera ripresa per i passiti - che stanno sostituendo i superalcolici a fine pasto - mentre i rosati sono stabili o al più in lieve incremento.
C’è una certa preoccupazione tra i ristoratori per le norme anti-alcol del codice della strada, più per l’effetto psicologico che non per una reale diminuzione dei consumi, tuttavia i ristoranti restano fiduciosi in una ripresa del mercato. Circa il 48% ritiene che il consumo tornerà a crescere, mentre coloro che vedono decisamente nero sono soltanto l’8%. Circa una metà dei ristoratori però ritiene che il mercato resterà stabile o avrà un’ulteriore leggera contrazione. Forti di queste convinzioni i ristoratori hanno messo a dieta le loro carte dei vini: il 33% dei ristoratori dichiara che ha diminuito il numero di bottiglie presenti in carta, ma il dato più significativo è quello del 43,6% dei ristoratori che dichiara di aver razionalizzato il menù di cantina puntando su bottiglie di minor prezzo, su vitigni autoctoni e su cantine locali. Solo il 23,1% dei ristoratori prevede di incrementare il numero di bottiglie da proporre ai clienti.
Eppure questo atteggiamento non sembra aver disorientato i clienti, che giudicano nel 30% dei casi buone le carte dei vini, nel 34% dei casi sufficiente la proposta e nell’8,7% dei casi ottima. Il giudizio negativo verso le carte dei vini italiane è espresso solo dal 27,4% dei consumatori. La maggioranza del mercato è concentrata nella fascia 10-20 euro (oltre il 47% dei clienti), oltre i 25 euro si colloca solo il 16,2% del mercato e al di sotto dei dieci euro troviamo il 9,9% dei clienti dei ristoranti. Tuttavia nelle opzioni (scontato che il 71% dei clienti di ristoranti come prima opzione preferisce il rosso, il 14% il bianco e il 4,5% le bollicine) i clienti dei ristoranti scelgono quasi 9 volte su dieci vini italiani, 6 volte su dieci vini a denominazione, 7 volte su dieci vini della regione dove si trova il ristorante. Infine ai consumatori è stato chiesto anche di giudicare il servizio del vino al ristorante e cosa migliorerebbero nel rapporto vino/ristorante. Premesso che 6 consumatori su 10 dichiarano di volere il servizio a bicchiere (anche per poter esercitare più opzioni e non solo per contenere la spesa), il 47% giudica il servizio buono, circa il 27% sufficiente e un quarto dei pareri si orienta invece verso l’insoddisfazione.
Quanto alle cose che dovrebbero essere migliorate la maggioranza relativa dei clienti dichiara che vorrebbe più competenza (circa un terzo dei pareri), il 19,7% vorrebbe migliorare gli abbinamenti, mentre coloro i quali si lamentano della carta sono appena il 13,8%, a conferma che le razionalizzazioni della proposta enoica operate dai ristoranti non hanno inciso sulla soddisfazione del cliente.